Chiesa di Sant’Antonio Abate a Breno

La chiesa di Sant’Antonio abate si trova in una posizione abbastanza defilata nella piazza principale del centro storico di Breno. Le notizie più antiche che la riguardano risalgono ad un documento datato 13 novembre 1334 (esistente solo in copie tarde e da alcuni messo in dubbio) che riporta come il ricco nobiluomo locale Giovanni Marone Ronchi dispose nel suo testamento ingenti sostanze destinate all’erezione di una cappellania presso l’allora parrocchiale di San Maurizio oppure in un altro oratorio da erigere ex novo. In quest’ultimo caso egli avrebbe donato anche parte di una sua casa affacciata sulla piazza del paese, ma alla condizione che il sacerdote titolare del beneficio venisse nominato dai membri della famiglia Ronchi o, in caso di mancanza, dagli uomini della vicinia di Breno. Prevalse la seconda ipotesi, tanto che dai documenti la chiesa risulta già edificata e funzionante nella metà del XIV secolo.

Altri atti tra il 1467 ed il 1514 ricordano come la “visenenza” e gli “homines de Breno” applicassero tasse straordinarie per effettuare dei lavori di manutenzione e restauro della struttura. Nel 1480, a causa delle inadempienze della famiglia Ronchi, la comunità brenese ricevette dal Papa Sisto IV la competenza esclusiva della nomina del titolare di Sant’Antonio e la completa separazione dalla parrocchiale di San Maurizio. Nonostante questo atto pontificio il vescovo di Brescia tentò ugualmente di accaparrarsi il ricco beneficio della chiesa cittadina, sollevando l’indignazione nella vicinia di Breno la quale si appellò, per aver giustizia, alle massime autorità dell’epoca: i rettori della Serenissima Repubblica di Venezia. Lo stesso doge Agostino Barbarigo sancì con una ducale nel 1488 che la chiesa di Sant’Antonio dovesse ritenersi separata dalla parrocchiale. Per mantenere perpetua memoria di questa decisione fece murare nel 1490 un’epigrafe sulla porta principale dell’edificio che ancora oggi riporta: CAPELLA IUR(IS) PATRO/NATUS CO(MUN)IS BRENI DOTA/TA P(ER) Q(UONDAM) D(OMUNUM) IOHANE MA(RONE) RO(NCHI)/ NA(M) ERECTA P(ER) CO(MUN)E AC OP(ER)E/ MA(GNIFI)CI D(OMINI) FRA(N)CIS(C)I FOSCAR/ENI REDEMPTA IUR(IS).

Nel 1533 il parroco don Cosimo Federici intavolò delle trattative con la vicinia con lo scopo di trasferire la sede parrocchiale da San Maurizio, posta al di fuori dell’abitato e non più in grado di soddisfare le esigenze di culto, a Sant’Antonio nel pieno centro del paese. L’accordo, che salvaguardava sia l’amministrazione comunale sia le “fontioni parochiali”, venne accettato da entrambe le parti e i sacri paramenti furono trasferiti. Sant’Antonio divenne quindi “quasi” parrocchiale fino all’erezione della nuova chiesa della Trasfigurazione, nella seconda metà del seicento, che ne recepì le funzione e diede il via alla fase di abbandono della struttura. Nel 1698 padre Gregorio Brunelli descrive che “nella piazza presso il Palazzo della Ragione v’è la chiesa di Sant’Antonio abbate ultima parochiale derelitta”.

Il periodo di decadenza culmina con l’invasione napoleonica del 1797, durante la quale la struttura divenne perfino alloggio militare. Acquistata dal comune di Breno nella seconda metà dell’ottocento, cadde nell’oblio fino all’inizio del 1910, quando venne dichiarata monumento nazionale. Ciò non impedì che la chiesa venisse ancora utilizzata come deposito o cinematografo almeno fino all’anno successivo, quando finalmente iniziò un primo restauro operato da Fortunato Carnevali.

Nel dopoguerra l’edificio venne a trovarsi nuovamente in stato precario e nel 1951 si registra perfino un appello dell’Ateneo di Brescia contro il comune di Breno che lascia “distruggere una delle opere più alte della nostra scuola pittorica del Rinascimento”; il richiamo smosse le acque permise la sistemazione degli affreschi che a più riprese furono restaurati tra il 1970 e la fine degli anni ‘90.

L’edificio si trova nel cuore di Breno, di fronte alla piazza che porta il suo nome (un tempo famosa per il mercato che vi si teneva) e di fianco ad una abitazione che era la residenza del Capitano di Valle Camonica durante l’epoca veneta (1428-1797).

Il dettaglio che la caratterizza è la presenza di una “smussatura arrotondata” che congiunge la facciata, rivolta ad ovest, con la parete nord. Il lato settentrionale è diviso in tre settori da paraste di pietra lavorata, delle quali la più occidentale presenta alla sommità un’edicola murata decorata da una testa con mitra ed aureola. In ogni sezione si aprono delle finestre dalla forma trilobata.

Se sul versante nord l’angolo della facciata è smussato, su quello sud è nascosto dalla presenza del campanile in pietra a vista che culmina in un tetto a forma di cipolla terminante in una sfera sulla quale poggia una croce raggiata.

Al centro della parete ovest si apre invece il portale il legno, incorniciato da una struttura in pietra Simona (con qualche elemento di marmo bianco) decorata sulle lesene da motivi a candelabro e sull’architrave da cinque teste laureate intervallate da festoni di frutta. Sopra il portale vi è una semilunetta, abbellita da teste di cherubino, che contiene una Madonna orante attribuita a Giovanni Pietro da Cemmo. Poco più in alto del dipinto vi è l’epigrafe riportata precedentemente che risale al 1490, posta al centro di due elementi scalpellinati che un tempo dovevano presentare degli stemmi.

All’interno la chiesa è a navata singola, divisa in due campate più il presbiterio, e mantiene alle pareti tracce di affreschi: su quella destra una Madonna in trono tra i santi Giovanni Evangelista, Antonio abate e Caterina d’Alessandria; su quella sinistra una Santa Caterina e la rappresentazione del martirio di Simonino da Trento (completamente nudo e stillante sangue), oltre a resti di affreschi di un Sant’Antonio abate, un Sant’Antonio da Padova e i rimasugli di un altro Simonino. Altre figure sulla parete a manca sono una Madonna tra i santi, un Giobbe ricoperto di piaghe, un San Giovanni Evangelista, un San Fabiano, una Santa Lucia ed un San Sebastiano. Tutte queste figure sono datate all’ultima parte del quattrocento e attribuite alla cerchia del da Cemmo.

Il presbiterio è diviso dal corpo centrale della chiesa da un arco trionfale decorato dai volti di dodici profeti. Questo ambiente, a forma quadrata, raggiunge il suo apice in un soffitto a crociera interamene stellato, contenente i quattro evangelisti. Tutti questi dipinti sono opera di Giovanni Pietro da Cemmo e datati attorno al 1495.

Le pareti dell’abside sono invece opera di Gerolamo Romanino, affrescate tra il 1536-1537. Esse rappresentano a destra Nabucodonosor che giudica Anania, Misael e Azaria: la scena, pur non avendo soluzione di continuità, descrive tre momenti differenti, ovvero il giudizio del re, il miracolo del fuoco che non brucia i fedeli e la morte delle guardie nelle loro armature. A sinistra si ipotizza che il Romanino abbia rappresentato Daniele condotto al martirio nella fossa dei leoni, immagine caratterizzata  da una vitalità di espressioni dei soggetti rappresentati, tra cui un giovane con una gamba penzolante che osserva gli spettatori e indica di porre maggiore attenzione alla scena dipinta. Infine, sulla parete di fondo si intravede un’altra scena, ampiamente danneggiata e di incerta interpretazione, anche a causa della pala d’altare, opera di Callisto Piazza, che ne decora la parte centrale. Probabilmente posteriore al 1527, questo dipinto rappresenta una Madonna con Bambino tra i santi Sebastiano e Antonio abate (sulla sinistra) e Rocco e Siro (sulla destra).

Indirizzo: Breno, piazza Sant’Antonio.
Apertura: Su prenotazione.
Ricorrenza festiva: 17 gennaio.
Contatti: Biblioteca di Breno: 0364.22656 – Gastronomia Domenighini: 0364.22142.
Viste guidate: LOntànoVerde.