Cologne

Una torre romana e il convento dei Cappuccini
Da Erbusco, la direzione da prendere è quella verso il monte Orfano. Superato Zocco, ecco Cologne, ai piedi dell’altura. La parte vecchia del paese è stata ormai completamente inglobata dalle nuove costruzioni: per chi ama l’arte e l’architettura, sono comunque da vedere il Municipio, edificio stratificato, la cui parte più antica risale al ’300, la parrocchiale della fine del ’700, la chiesa di Sant’Eusebio, ricostruita alla metà del ’600 su una precedente di antichissima origine, risalente all’VIII secolo: al suo interno sono stati murati i frammenti di un pluteo paleocristiano. Nonostante oggi il suo aspetto sia quello di un comune paese della pianura lombarda, Cologne ha origini antiche, che risalgono al periodo romano, come testimoniano il suo stesso nome (che si riferisce alle colonie rurali in cui era diviso in quel periodo il territorio) e i resti di una possente torre d’avvistamento, che ancor oggi si possono vedere sul monte Orfano: vai la pena di salirvi, perché vi si gode uno splendido panorama.

Un tempio dell’armonia
La torre si trova sopra il convento dei Cappuccini, edificato nel 1569 su un poggio da cui si domina la pianura, da una parte, e le colline della Franciacorta, dall’altra. Passato attraverso mille vicissitudini, abbandonato nell’800, recentemente restaurato e riportato al suo antico splendore, è oggi l’hotel Cappuccini, un piccolo tempio della buona ospitalità e uno degli indirizzi di charme più raffinati del turismo franciacortino, conosciuto e frequentato anche dai viaggiatori stranieri, a cui si giunge salendo fra rose, vigne e ulivi, lungo quello che viene definito il “Percorso dell’armonia”. Mobili d’epoca, ricercati con spirito collezionistico dai proprietari, Massimo e Rosalba Pelizzari, tendaggi scenografici, composizioni dì fiori e frutta, stampe e quadri antichi arredano le tre salette con grandi camini del ristorante, le 7 stanze della foresteria (una è suite), la Sala della poesia dominata da una grande vetrata policroma, il Salone del Quattrocento (dove sono organizzati banchetti o convegni), che si affacciano su un armonioso chiostro. Ricercata la cucina, che propone piatti della tradizione locale e della gastronomia internazionale reinterpretati con fantasia da Massimo Pelizzari, accompagnati da una buona scelta di vini franciacortini; squisita l’ospitalità nella foresteria, con un’ottima colazione, a base di marmellate e dolci fatti in casa. L’ex cappella del convento (200 posti) utilizzata per feste e banchetti, mentre una piccola stanza che si affaccia sul chiostro ospita la Liquoreria, dove si vendono distillati e grappe “da meditazione” di produzione propria, abbinati a preziose edizioni di libri classici (quali ad esempio “L’amicizia” di Cicerone), realizzati con metodi artigianali e illustrati con antiche stampe. Sempre all’insegna della meditazione e del relax sono state concepite anche le Fontane dei Ss. Cosma e Damiano, tempio dedicato al benessere, ricavato nella cascina che si trova all’ingresso della tenuta dei Cappuccini. Percorsi e giochi d’acqua, piscina, sauna, grotta con vapore, fontane, una biblioteca, salottini per rilassarsi, terrazza con vista sulla Franciacorta, musica di sottofondo… un piccolo eden.

In bottiglia dalle pendici del monte Orfano ‘Vigneti e cantine visitabili anche a Cologne. Ecco qualche buon indirizzo. La Boscaiola è un’azienda che ha sede all’interno di una vecchia cascina lombarda del ’600 immersa nel verde, ai piedi del monte Orfano. Cenci, il titolare, ha iniziato la vitivinicoltura quasi per hobby. Poi, piano piano, la produzione è aumentata e ora l’azienda (dove si possono acquistare direttamente i vini) produce Franciacorta Brut e i Terre di Franciacorta. Dai vigneti soleggiati alle pendici del monte Orfano arrivano i vini dell’azienda Masnot, fondata nel 1986 proprio alle porte di Cologne. La sua produzione è limitata, per scelta, in Terre di Franciacorta Rosso e Bianco e due Franciacorta Brut; di cui uno, il Cuvèe Terra Rossa, viene prodotto proprio dal vigneto vicino alla cantina, piantato su un terriccio reso rosso della presenza di ferro. Sempre sotto il monte Orfano si trova anche la cantina Metelli, una piccolissima ma curata azienda a conduzione familiare, che produce Franciacorta Brut. Risale al ’400 la bella cascina sede della cantina Riccafana, che si trova ai piedi del monte Orfano, circondata da vigneti: produce Franciacorta Docg e Terre di Franciacorta Bianco e Rosso, che si possono degustare e, ovviamente, acquistare direttamente in azienda.

RICORDI E SOGGIORNI DI UOMINI ILLUSTRI
«Le bollitcne del Franciacorta sono l’origine del firmamento». Non è uno slogan per una campagna pubblicitaria coniato dal Consorzio Vini, ma è una frase scritta da Ezra Pound, che ha spesso soggiornato in questa terra, a Nigoline perla precisione, e amava dopo cena sorseggiare un calice di Franciacorta. Per James Joyce, amico di Pound e ospite assiduo della Franciacorta a Nigoline e a Bornato, invece, un buon bicchiere bevuto la mattina è «il modo migliore per svegliare anche il cervello e il corpo». Ma gli aneddoti per l’ammirazione del vino prodotto in Franciacorta da parte di personaggi illustri non si fermano solo agli scrittori. Thomas Jefferson, il presidente americano che scrisse la Dichiarazione d’indipendenza, si fermò sulle sponde del lago d’Iseo il 5 maggio del 1787 proveniente da Parma e sul suo diario decantò il Parmigiano Reggiano e l’ottimo abbinamento con un vino locale ‘piccante” e le incantevoli colline della Franciacorta. La data del soggiorno di Jefferson non può non ricordare Napoleone. Anche Napoleone Bonaparte ha visitato la Franciacorta. Era il 1796, l’imperatore francese era a Coccaglio, in procinto di entrare a Brescia, e parlando ai suoi ufficiali disse: «Mi sento a casa, questa terra mi ricorda i paesi e profumi della mia isola». Un’altra francese, le scrittrice George Sand, soggiornò fra il lago d’Iseo e la Franciacorta per almeno un anno, per dimenticare l’infelice amore con il poeta Alfred de Musset Anche il poeta Vincenzo Cardarelli, che visitò la Franciacorta, volle lasciare scritta una sua testimonianza: «…Niente più mi somiglia, niente più mi consola,/di quest’aria che odora/di mosto e di vino, di questo vecchio sole ottobrino che splende nelle vigne saccheggiate».

CartierBresson e Visconti
Verso le metà del ’900, Iseo e la Franciacorta sono state meta anche del fotografo Henri Cartier Bresson: alcuni scatti sulle colline fanno parte delle sue opere maggiori. Anche il regista Luchino Visconti amava questa terra e i suoi vini e, a proposito del Franciacorta, ha detto: «E un vino complesso che per essere capito fino in fondo va prima gustato coti la testa, poi con l’anima. GIl altri sensi umani sono complementari e succedanei

Veronelli e la dote di un grande vino
E per finire questa rapida carrellata su personaggi edtazioni, la parola a Luigi Veronelli: «Ci si era ritrovati lui ed io (Gianni Brera) nell’ammirazione di questa terra d’inquietante nome, i cui vignaioli avevano avuto il coraggio e, benedetta, la sfrontatezza, di confrontarsi e provocare lo Champagne. Con la voglia di sbaragliare il campo senza la purché minima soggezione per i tentativi, azzardati e sparsi un po’ dovunque nell’Italia del Nord, di varia origine e di diversa dimensione sociale ci si erano gettati dentro ed adottato senza mezzi termini il metodo classico, per eccellenza qualitativo, plurisecolare risultante di esperienze, tese alla produzione di Spumanti ai massimi livelli. Ogni via e stata seguita e sperimentata, da vignaiolo a vignaiolo, ciascuno con le proprie idee, la propria vocazione, le proprie testardaggini, onde acquisire valenze e primati. Mi piace camrninarne le vigne e sostare addirittura a lungo nelle cantine dopo la Champagne, unica terra al ‘mondo in cui mi piaccia curioso di ciascuno dei mo, menti di una lavorazione carica di tours de main e di escamotages; il remuage nei pupitres, pulpiti bonaccioni, in opposizione a quelli di cui, scrive Emilio Cecchi: “il predicatore puntato il dito… minacciava le fiamme d’inferno ai perversi” (qui si prospetta il Paradiso); gli abili giri di mano degli addetti specializzati che portano in tre mesi le bottiglia, da orizzontale a “culo verso l’alto, bocca verso il basso”, con tutto il deposito spinto sul fondo del collo a ridosso del tappo; la presa di spuma con l’aggiunta di propri e segretissimi liqueurs de tirage; itdegorgement a la volè o per ghiacciatura; il rimbocco, o con lo stesso Spumante, o con i vini di riserva (conservati in botti di legno, tosi da usarli come veri e propri correttivi di miglioramento), o con un individuale “clandestino” liqueur d’expèdition, secondo la cui qualità e quantità si hanno dei pas dose, dosage zero, brut absolu, brut 100%, ultrabrut, brut sauvage, e in discesa, secondo me extra brut, brut, extra dry, dry, demisec, infine (ahimè) doux; i millesimi le cui cuvèes devono provenire da una sola annata; i tempi di elevazione delle varie fasi (acciaio, legno evetro); altro ancora. L’impegno messo da ciascuno dei vignaioli ad adottare sì ii metodo classico, ma con proprie varianti singole ed irrepetibili, ciascuno secondo estro e vocazione, avrebbe potuto/dovuto portare ad un babelico mesclòt. Invece questi Franciacorta, così come in Francia per gli Champagne, partecipano per virtù di terra, clima e uomini ad una magica armonizzazione e possiedono per quanto diversi secondo Casa e Casa, cru e cru la prima delle doti di un grande vino, il riconoscimento».

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