Gli Arcosauri a Zone

Il comune di Zone (Brescia) era già noto a studiosi e appassionati di geologia per le “piramidi di terra”, spettacolari forme di erosione risalenti alla fine dell’ultima glaciazione. Una approfondita indagine paleontologica ci mostra le orme di grandi rettili arcosauri, antenati di coccodrilli e dinosauri,  su una parete di roccia formatasi nel Triassico superiore (220 milioni di anni fa), a meno di due chilometri dalle piramidi.

Varie specie di animali hanno lasciato 70 orme, quasi tutte allineate a formare almeno 5 piste (sequenza di passi). La continuità laterale della parete di roccia fa prevedere che molte altre orme giacciano ancora nascoste dalla vegetazione e dalle stratificazioni rocciose soprastanti e sottostanti.

LA SCOPERTA

Le orme fossili sono conservate su una parete rocciosa molto inclinata che affiora a circa 800 metri di quota in Val Valurbes, a nord dell’abitato di Zone, e che costeggia per un breve tratto l’Antica Strada Valeriana (un sentiero lastricato costruito dai romani per collegare Brescia alla Val Camonica). Circa 50 metri più a monte dell’affioramento si trovala cosiddetta Chiesa del Disgiolo. Per questo il luogo è frequentato da paesani ed escursionisti e le orme, seppure interpretate in vario modo, erano note da tempo agli abitanti di Zone. Tra il 2002 e il 2003 le tracce erano state segnalate da Pierino Baroni, un insegnante di Marone, allo zonese Stefano Zatti, che nel 2004 le aveva citate nel Dizionario zonese-italiano, attribuendole a “un cucciolo di dinosauro”. Il 1° gennaio 2008 Federico Vezzoli, un appassionato di geologia e storia locale residente a Pisogne, durante una escursione riconosce con certezza le tracce come orme fossili, scatta alcune fotografie e le mette online sul Portale Paleofox, avvisando contestualmente gli organi competenti. Dalla vetrina di Internet all’occhio dei paleontologi il passo è breve. Dopo un sopralluogo sul posto Cristiano Dal Sasso, del Museo di Storia Naturale, raduna un gruppo di studio composto anche da Marco Avanzini e Fabio Massimo Petti del Museo Tridentino di Scienze Naturali, Paolo Schirolli del Museo Civico di Scienze Naturali di Brescia e Umberto Nicosia dell’Università “La Sapienza” di Roma. I risultati delle ricerche vengono resi noti all’opinione pubblica con una conferenza stampa.

Federico Vezzoli, uno degli scopritori del sito, mostra una delle sequenze di orme più grandi. Foto Cristiano Dal Sasso, © Museo di Storia Naturale di Milano
Brachychirotherium

L’ULTIMA SCOPERTA: IL GRANDE CRUROTARSO

In un recente sopralluogo, ancora più accurato dei precedenti, è stata scoperta la pista più grande, precedentemente sfuggita alla vista perché le orme che la compongono sono depressioni assai poco marcate, visibili soltanto con particolari condizioni di luce. Il grande crurotarso che ha originato questa pista, conservata sul lato sinistro della parete nello strato più vecchio, possedeva un corpo piuttosto largo e probabilmente si muoveva più lentamente. Questo è testimoniato dai bassi valori dell’angolo formato da tre orme consecutive del piede. Si trattava di un animale certamente più lungo di 5 metri, con ventre e coda ben sollevati da terra, non essendo stata rinvenuta alcuna loro traccia.

Carta d’ identità del Crurosauro:

Nome scientifico delle orme: Brachychirotherium

Significato: mano bestiale dalle dita corte

Superordine: Arcosauri

Ordine: Crurotarsi

Sottordine: Rauisuchi o Suchi

Famiglia: Rauisuchidi o Etosauridi

Età geologica: Triassico superiore (Carnico), 220 milioni di anni fa

Dimensioni degli autore delle orme: da 2 a 6 metri di lunghezza; da 0,8 a 2 metri di altezza

Peso: da 100 a 600 kg

Habitat: ambienti aridi e litorali marini

Distribuzione geografica: Europa centro-meridionale, Stati Uniti

Stile di vita: andatura quadrupede con coda sollevata e testa protesa in avanti, caccia d’agguato

Dieta: carnivora e forse anche piscivora

Segni particolari: insolita rotazione della mano all’esterno, quinto dito del piede curvo e tozzo

Curiosità: la leggenda dei “pè de la Madona” probabilmente nasce dal ritrovamento di orme fossili simili a queste su un’altra roccia, ora distrutta, che affiorava poco più a valle

L’importanza della scoperta si può sintetizzare in cinque punti:

  1. Sono le prime orme di rettili risalenti all’inizio dell’era dei dinosauri trovate in Lombardia
  2. Sono le orme di questo tipo e di questo periodo più grandi e meglio conservate in Italia
  3. Alcune orme hanno una forma unica che suggerisce possano essere nuove per la scienza
  4. Aggiungono importanti dati per la ricostruzione degli antichi ambienti dell’Italia settentrionale
  5. Ci permettono di mettere in relazione rocce e fossili in varie parti del mondo, aiutandoci a comprendere meglio i primi passi dell’evoluzione dei rettili che poi diventarono dinosauri

LE TRACCE RACCONTANO

Nel nuovo sito paleontologico di Zone attualmente affiorano almeno 70 orme. Quasi tutte sono allineate una davanti all’altra a formare almeno 5 successioni di passi, che i paleontologi definiscono “piste”. Queste attraversano in varie direzioni due strati di roccia quasi verticali, su una superficie complessiva di circa 50 metri quadrati. 220 milioni di anni fa questi strati erano parte di una vasta pianura fangosa solcata da fiumi che sfociavano in un basso mare tropicale. Circa 15 milioni di anni fa quando le Alpi cominciarono a corrugarsi, gli antichi depositi ormai divenuti roccia furono sollevati e disposti in modo verticale così come li vediamo oggi. Le piste meglio conservate si vedono sullo strato più giovane, che affiora nella porzione destra della parete. Le due piste più grandi sono impresse nello strato sottostante e si interrompono sulla sinistra in corrispondenza di una rottura nella parete. Tutte le orme sono riferibili ad animali quadrupedi, plantigradi o semi-plantigradi, lunghi dai 2 ai 6 metri. Le orme ci dicono che questi animali avevano una camminata molto stretta e piuttosto lineare, il che indica una struttura corporea con arti posizionati verticalmente sotto il corpo. Le zampe anteriori erano più piccole delle posteriori e le mani poggiavano a terra con una caratteristica rotazione rispetto ai piedi. Nelle orme meglio conservate, inoltre, si possono contare ben 5 dita sia nelle mani che nei piedi osservare le impronte di altrettanti artigli, nonché delineare grossomodo i polpastrelli e i talloni.

Le Tracce